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Barbara Caprioli Psicologa

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MINDFULNESs:
MA DI COSA STIAMO PARLANDO?

Cosa è la Mindfulness e cosa non è.

Scritto da Barbara Caprioli
19  Gennaio 2025

Mindfulness

Foto di Jared Rice

Si sente sempre più spesso parlare di Mindfulness, in televisione, in radio, sui social. Sembra ormai diventato un argomento di moda. Ma sappiamo veramente di cosa si tratta? 

Cominciamo col dire cosa non è la Mindfulness, per cercare di sfatare i luoghi comuni e i falsi miti che circolano spesso intorno a questa pratica.  

 

la Mindfulness non è mente in bianco.

L'obiettivo non è smettere di pensare, anche perché non solo non sarebbe possibile ma neppure auspicabile. Il pensiero, cioè la capacità di riportare alla mente il passato e la capacità di proiettarsi nel futuro, é un'importantissima conquista cognitiva dell'essere umano, ciò che ci distingue dagli altri esseri viventi. Semplicemente (anzi, come vedremo nei prossimi articoli, non sarà poi così tanto semplice!), si tratta di imparare a concentrarsi sul momento presente, senza lasciarsi agganciare dalle tante distrazioni che affollano la nostra mente.
Si tratta di imparare ad accorgersi quando ci si sta distraendo e di imparare a scegliere da quali pensieri, tra i tanti, vogliamo lasciarci trascinare.
In questo senso, la Mindfulness ci offre il dono prezioso della libertà di scegliere quali pensieri sono per noi più adatti in un determinato momento (cioè il presente!).  

 

la Mindfulness non è indifferenza.

La Mindfulness non ci trasforma in asceti, in mistici, anzi, ci spinge ad accogliere e poi ad accettare, tutto quello che c'è nel momento presente, tutto ciò che si presenta alla nostra consapevolezza: pensieri, emozioni, sensazioni.  

 

La Mindfulness non è rilassamento.

Lo scopo della meditazione non è dunque rilassarsi, per farlo altre sono le strade da percorrere: le vere e proprie tecniche di rilassamento (come il Rilassamento Progressivo di Jacobson) oppure si potrebbe optare per un massaggio rilassante. 
Il rilassamento a volte avviene durante le nostre pratiche, ma come effetto secondario, un effetto che potremmo definire collaterale. Scopo della Mindfulness è, in realtà, l'essere presenti a noi stessi, agli altri e agli eventi della vita. Vedremo poi, in altri articoli, come questa presenza sia una presenza particolare: curiosa, senza giudizio e compassionevole.
 

la Mindfulness non è religione.

Deriva dalle antiche pratiche meditative buddiste (in particolare dalla pratica Vipassana), ma quando è stata importata in Occidente dal suo "padre fondatore" Jon Kabat-Zinn* negli anni '70, è stata spogliata da tutta quell'aura religiosa e mistica propria delle meditazioni orientali. Il medico Jon Kabat-Zinn l'ha quindi adattata alla mentalità occidentale, riuscendo a darle una valenza scientifica. 
 

la Mindfulness non è altro che scienza!

Gli studi pionieristici di Kabat-Zinn e tutti gli altri studi di altrettanto autorevoli medici e psicologi che hanno seguito il suo esempio, hanno utilizzato il metodo scientifico (quello che, per intenderci, utilizza un gruppo sperimentale e lo confronta con un gruppo di controllo) per verificare la validità delle loro ipotesi e l'attendibilità dei loro risultati. Risultati che sono stati verificati non solo chiedendo alle persone che meditano come stanno, ma anche e soprattutto analizzando i dati derivati dalle tecniche di neuroimaging (come la risonanza magnetica), esami che hanno scoperto come si modificano le strutture cerebrali e i processi neuronali nel cervello dei meditatori. Si tratta di dati che confermano come la meditazione quotidiana possa portare ad una riduzione del volume delle strutture cerebrali responsabili dell'ansia, della depressione, come l'amigdala e ad un aumento del volume della materia grigia  di altre strutture implicate nell'attenzione, nella concentrazione e nella risoluzione di problemi, come l'ippocampo. 
Naturalmente non basta un training di qualche lezione per raggiungere questi risultati, le pratiche Mindfulness devono essere mantenute costanti quotidianamente nel tempo. Ma se si pratica con costanza ed impegno (eh sì ci vogliono impegno e costanza!), i risultati che via via si raggiungeranno, saranno dei validi incentivi per far diventare la pratica meditativa un appuntamento fisso e piacevole nella nostra routine quotidiana.

 

Conclusione

Con il termine Mindfulness, che può essere tradotto con "consapevolezza", indichiamo quindi un modo particolare di vivere e di rapportarsi a se stessi, agli altri e agli eventi che la vita ci presenta. Una capacità che tutti abbiamo in dotazione alla nascita, ma che il nostro modo di vivere moderno, ha sopito man mano che siamo cresciuti e diventati adulti. Sta a noi, e solo a noi, riprendere le redini della nostra vita, e cominciare di nuovo a guardarci attorno con sguardo nuovo, attento, curioso e non giudicante, lo stesso sguardo che avevamo da bambini. 
La Mindfulness può quindi essere considerata uno strumento, dobbiamo solo apprenderne le tecniche e imparare a metterle in pratica quotidianamente.

 

Un corso di meditazione Mindfulness può, in questo senso, piantare un seme prezioso, starà poi a ciascuno di noi avere la costanza e la pazienza di innaffiarlo per farlo crescere e fiorire, così come ha argutamente sentenziato una mia allieva al termine di uno dei miei percorsi di gruppo.

 

* Jon Kabat-Zinn: biologo molecolare e scrittore statunitense, Professore Emerito di Medicina e fondatore della "Stress Reduction Clinic" e del "Center for Mindfulness in Medicine, Health Care and Society" presso la University of Massachusetts Medical School.

L'ANSIA

Che cos' è e come affrontarla.

Scritto da Barbara Caprioli

3 Febbraio 2025

Ansia

Foto di Uday Mittal

Alcuni la definisco come il male del secolo: i disturbi d’ansia rappresentano il disagio mentale più diffuso nella società moderna, sia tra gli adulti che tra i bambini. Ma che cos’è l’Ansia? Si tratta di un’emozione, un’emozione secondaria. 

 

ANSIA vs PAURA

 

L’ansia fa parte del sistema della paura. Quest’ultima è una riposta emotiva di fronte ad un pericolo reale, un’emozione dunque che ci accomuna alle altre specie animali. Altre emozioni primarie sono la gioia, la tristezza, la rabbia, il disgusto e la sorpresa. Primarie nel senso che ci accompagnano fin dalla nascita. La paura è una reazione emotiva funzionale per affrontare un pericolo immediato ed è alla base della risposta di “attacco e fuga” che ci permette di mobilitare tutte le nostre risorse per affrontare una minaccia, oppure al contrario per fuggire. L’ansia invece, come il senso di colpa, l’invidia e la vergogna, per esempio, è un’emozione secondaria: nell’essere umano le emozioni primarie si combinano formando emozioni più complesse e influenzate dall’esperienza. L’ansia in particolare può essere definita come una “paura senza oggetto” ed è prevalentemente rivolta al futuro. È un’emozione per così dire preventiva: tipica degli esseri umani in quanto presuppone una valutazione dello stimolo e quindi un sistema cognitivo in grado di rappresentarsi eventi futuri ipotetici e distanti nel tempo, con conseguenze potenzialmente negative.

 

ANSIA “FISIOLOGICA” ED “ANSIA PATOLOGICA”

 

Dal punto di vista adattivo, anche l’ansia, come la paura, ha un ruolo molto importante, comportando la previsione e la reazione a pericoli potenziali. Per i nostri antenati molti erano i pericoli potenziali nell’ambiente. Nella vita odierna questi si sono notevolmente ridotti ma il percepire ansia ha comunque un’importante funzione adattiva anche per noi. In questi casi si parla di “ansia fisiologica”. Grazie ad essa ciascuno di noi aumenta le proprie capacità attentive e prestazionali, permettendoci un adattamento ottimale all’ambiente. Prima di un esame, per esempio, la percezione dell’ansia ci stimola a prepararci con uno studio adeguato e, durante l’esame stesso, ci mantiene vigili e attivi. L’ansia diventa invece “patologica” quando impedisce di vivere in armonia con se stessi e con il proprio ambiente. Quando, cioè, i sentimenti diventano pervasivi, eccessivi, tanto da interferire con la vita quotidiana.

 

ANSIA COME EMOZIONE NEGATIVA

 

L'ansia si può inoltre definire come un’emozione negativa, nel senso che è percepita come sgradevole. Come tutte le emozioni negative, ha correlati (sintomi) fisiologici molto evidenti, come per esempio tensioni muscolari, tremori, tachicardia, difficoltà a respirare, irrequietezza, mancanza di fiato, difficoltà ad addormentarsi, nausea, bocca secca, aumento della sudorazione, una sensazione di peso allo stomaco o al torace, disturbi gastrointestinali. Naturalmente non tutti questi sintomi devono essere sempre presenti insieme e non necessariamente in tutti i soggetti. Essendo questi sintomi molto evidenti, ci si accorge facilmente di essere stati assaliti da un’emozione negativa, anche se a volte è difficile identificarla chiaramente, e spesso, la percezione di questi correlati fisiologici aumenta la preoccupazione e l’ansia stessa, creando così un circolo vizioso.                                                                         La terapia di elezione per l’ansia “patologica” sembra essere quella cognitivo comportamentale. Come tutte le emozioni, infatti, anche l’ansia è costituita da diverse componenti. Vediamo quali:

 

1.     Lo stimolo scatenante lo stato di ansia 

 

2.     I correlati fisiologici di cui abbiamo già parlato

 

3.    L’interpretazione cognitiva e i pensieri relativi allo stimolo scatenante e ai sintomi fisici percepiti (dimensione cognitiva)

 

4.  Spinta all’azione e quindi azione (dimensione comportamentale)

 

  Rivolgendosi ad un professionista è possibile individuare quali siano gli stimoli scatenanti e individuare i pensieri che li accompagnano, in modo da poterli gradualmente modificare, ed è possibile agire anche sui comportamenti disadattivi che spesso fungono da rinforzo.
Esempi di ansia patologica sono:  Attacchi di panico, Agorafobia, Fobia specifica, Disturbo d’ansia generalizzato, Fobia sociale, Disturbo ossessivo-compulsivo, Disturbo post-traumatico da stress.

 

Spesso però molte persone soffrono di un’ansia che, pur non essendo “patologica,” travalica l’ansia che abbiamo prima definito “fisiologica”. Non è un’ansia che pregiudica in toto la possibilità di lavorare o di avere delle relazioni sociali, per esempio, ma è una sensazione che limita le nostre esperienze e la nostra possibilità di vivere serenamente.

 

COME AFFRONTARE QUESTO ECCESSO DI ANSIA FISIOLOGICA?

 

È importante chiarire che l’ansia non va necessariamente eliminata. In primis sarà necessario riconoscerla, notando i sintomi presenti nel nostro corpo e riconducendoli all’emozione ansia. Dopo averla identificata, andrà accolta, compresa, capita, accettata. Reprimere un’emozione non è mai una buona idea: essa tornerà quando meno te lo aspetti, ancora più agguerrita. Come ogni emozione, anche l’ansia è fonte di importanti informazioni. Cerchiamo di capire che cosa ha da dirci, cerchiamo di fare amicizia con la nostra ansia, cerchiamo di conoscerla e di capire da cosa nasce e come possiamo in qualche modo rispondere alle sue richieste. Dedichiamole del tempo, per sentire quali sono le sue ragioni e per decidere cosa possiamo fare per tranquillizzarla. Ciò che potrà essere controllato lo controlleremo, ci impegneremo di più nella preparazione al nostro esame, per esempio, ma ciò che non dipende da noi dovremo imparare a lasciarlo andare (l’umore del professore, le domande che ci verranno proposte: tutti fattori sui quali non possiamo avere nessun controllo). Dobbiamo imparare a lasciar andare tutti quei pensieri che si affollano nella nostra mente: osservarli, accettarli e poi lasciarli andare.

 

IL RUOLO DELLO STILE DI VITA

 

Uno stile di vita “sano” è sicuramente un elemento imprescindibile per alleviare l’ansia. La cura del sonno, una sana alimentazione e un’attività fisica regolare sono basilari per il nostro benessere psicofisico.

 

IL RUOLO DELLA MINDFULNESS

 

Anche la Mindfulness può essere di grande aiuto. Infatti, ci permette di riconoscere i sintomi fisici delle nostre emozioni, proprio perché ci invita ad essere presenti al nostro corpo momento dopo momento. Ci permette quindi, una volta identificate, di osservare le nostre emozioni e i pensieri ad esse correlati, attimo dopo attimo, ma ci invita a guardarli come osservatori distaccati: noi non siamo i nostri pensieri e neppure le nostre emozioni. Ci invita a ritornare nel qui e ora, lasciando scorrere. come nuvole nel cielo, pensieri ed emozioni, senza giudicarli e senza giudicarci, nuvole che lentamente ma spontaneamente si dissolveranno, lasciando spazio al momento presente. In questo modo riusciremo ad evitare il rimuginio, il continuo pensare e ripensare a ipotetici scenari futuri negativi. Rimarremo ancorati al nostro presente, accogliendo quello che c’è (sensazioni, pensieri ed emozioni) senza cercare né di opporci né di scappare, senza lasciarci travolgere o trascinare.
 

 

CONCLUSIONE

 

La Mindfulness ci regala quindi il dono della libertà: seduti sulla panchina di una stazione ferroviaria, grazie alle pratiche meditative, possiamo imparare a guardare i treni che passano davanti a noi senza salire su nessuno di essi. Alcuni passeranno più lenti, altri più veloci, alcuni vagoni saranno pensieri negativi, preoccupazioni, altri saranno invece pensieri positivi, progetti. Possiamo imparare a scegliere su quale vagone salire e lasciar andare quelli che non sono al momento utili per noi, per il nostro benessere e la nostra serenità.

 

Per approfondire vi consiglio la lettura dell’e-book:

 

“ANSIA, SE LA CONOSCI NON LA EVITI” del Dott. Ilario De Gaetanis

LA TRISTEZZA

Una diversa prospettiva.
Scritto da Barbara Caprioli
16 Marzo 2025

Tristezza

Foto di Dmitry Ganin

INTRODUZIONE

La Tristezza è, come la paura, un'emozione primaria, insieme alla gioia, al disgusto, alla rabbia e alla sorpresa. E' quindi un'emozione innata che ci accompagna fin dalla nascita, ed è un'emozione universale, comune a tutti gli uomini del pianeta terra, ma anche comune alle altre specie animali. Se provare tristezza è universale, non lo è saperla riconoscere come tale quando la si prova e neppure è universale la modalità in cui la si può esprimere. Comune è l'espressione mimica facciale che accompagna la sua percezione. Un esperimento di  EKMAN E FRIESEN del 1957 ha dimostrato come, a fronte di una universale espressione facciale comune a chi prova tristezza, diversa è la modalità di espressione di questa emozione, modalità che è profondamente influenzata da fattori culturali e sociali. Ci sono culture che autorizzano a mostrare tristezza in presenza di altri e altre culture che invece riservano tale espressione solo a momenti più intimi e personali. Oltre a differenze culturali, esistono anche delle differenze individuali nella propensione a mostrare la propria tristezza, differenze che sono comunque apprese dall'esperienza. Esiste chi si vergogna della propria tristezza, chi teme di essere giudicato per questa, chi teme di finire con l'essere isolato perché giudicato "pesante" da amici e conoscenti.

 

   FUNZIONE 

Come emozione primaria la tristezza ha avuto un' importante funzione nell'evoluzione della nostra specie. Quando proviamo tristezza significa che il  nostro sistema di attaccamento si è attivato: ciò indica agli altri che abbiamo bisogno di aiuto, di conforto. Infatti siamo esseri sociali, abbiamo bisogno del sostegno degli altri. Se impariamo ad esprimerla questa tristezza riusciremo ad attivare in chi ci circonda il proprio sistema di accudimento, così da trovare negli altri aiuto, conforto, protezione e vicinanza. Un'altra fondamentale funzione della tristezza è quello di farci fermare un attimo e di farci ripiegare in noi stessi, in un modo che ci consenta di raccoglierci, riflettere, di dare un senso a quello che ci accade e di elaborare un significato per gli eventi spiacevoli.

 

CAUSE E FATTORI SCATENANTI

Esistono degli eventi reali che inevitabilmente ci portano ad essere tristi. Ne sono un esempio il lutto, la perdita di un lavoro, la separazione o il divorzio, le malattie, tutte situazioni in cui vi è la percezione di una perdita o della possibilità che tale perdita avvenga. Altre volte invece capita di sentirsi tristi senza un apparente motivo: tutto sembra filare liscio ma dentro di noi sentiamo di non essere felici. Alla base di questa sensazione  ci sono probabilmente dei pensieri che, se ci fermiamo un attimo ad osservare, possono giustificare come ci sentiamo. Il nostro stato d'animo ci comunica che qualcosa non va, che abbiamo bisogno di cambiare qualcosa per trovare un nuovo equilibrio.

 

TRA NORMALITA' E PATOLOGIA

A volte questi pensieri negativi che ci rattristano possono essere eccessivamente intrusivi, catastrofici, ed ecco che entra in campo la possibilità che la tristezza si trasformi in patologia, cioè in depressione. A questo proposito vale la pena di introdurre quello che viene definito "il termometro delle emozioni". E' normale sentirsi tristi a causa di eventi reali o anche di pensieri negativi, ma da una scala da 1 a 100 del mio termometro delle emozioni, quanto mi sento triste? Una separazione può portare a piangere, a chiedersi come sia stato possibile, ma è proprio l'intensità e anche la durata di questa emozione che deve essere presa in considerazione. Disperarsi per un lungo periodo, pensare ed agire come se la propria vita fosse ormai finita, sono sicuramente dei livelli di tristezza che meritano una particolare attenzione, perché potrebbero sfociare nella depressione. Come tutte le altre emozioni anche la tristezza è un'emozione adattiva anche se percepita come sgradevole. Superati certi limiti di intensità e durata diviene però disfunzionale, così come la rabbia che può diventare aggressività, la gioia che può sfociare nella mania e la paura in panico. Per questo è importante imparare a riconoscere le nostre emozioni, a stare con esse, senza tentare di sfuggire, in modo da percepire se sono per noi funzionali o meno.

 

 IL RUOLO DELLA MINDFULNESS

Fondamentale è quindi la nostra capacità di riconoscere l'emozione che stiamo provando e la nostra disponibilità a stare con essa, ad osservarla in modo da capire quello che ci vuole comunicare. La Mindfulness ha proprio questa funzione: ci aiuta ad essere presenti alle nostre sensazioni (la tristezza ha dei sintomi comuni ben precisi, ai quali dovremmo imparare a prestare attenzione:   meno energie, rallentamento psicomotorio, meno difese immunitarie e maggiori livelli di stress)  ai nostri pensieri, in modo da poter riconoscere l'emozione che stiamo vivendo. Ci invita ad osservare i nostri pensieri e le nostre emozioni, senza però farci trascinare da essi. Dedicare del tempo a stare con la tristezza, per viverla pienamente serve ad accoglierla. Ed accoglierla significa capire cosa ci sta comunicando, cosa c'è che non va in questo momento della nostra vita, in modo da poter fare delle scelte più consapevoli e più orientate ai nostri valori e al raggiungimento di una maggiore serenità. Evitarla, fare finta di nulla, distrarsi in continuazione, porta invece ad incrementarne l'intensità e la durata , a far sì che, con il tempo, pervada ogni sfera della nostra vita. 

Come tutte le emozioni anche la tristezza ha un alto valore adattivo, è uno stato d'animo prezioso che non va sottovalutato ed evitato quando si presenta. E' importante imparare ad esprimerla, in modo da poter attivare in chi ci circonda un comportamento per noi di conforto e comprensione. E' normale sentirsi tristi in determinate situazioni ed è normale sentirsi tristi anche quando non c'è apparentemente un motivo concreto. Non bisogna vergognarsene. E' necessario inoltre non sottovalutare i momenti in cui tale emozione raggiunge temperature troppo elevate e per troppo tempo nel nostro termometro emotivo. Prendersi cura di sé e delle proprie emozioni significa anche saper chiedere aiuto ad un professionista quando queste temperature ci appaiono troppo elevate, per poter imparare a stare con esse ed imparare a modularle. Per comprendere le preziose informazioni che ci apportano, informazioni che a volte possono essere di difficile lettura. Nulla è permanente, anche le emozioni percepite come negative sono passeggere, solo bisogna imparare a gestirle e a comprenderle.

 

                                                                                         CONCLUSIONI
Concludo con una citazione di Gian Marco Manzo, letta al termine di un webinar molto interessante, condotto dalla dott.ssa Mariachiara Di Francesco (Psicologa e psicoterapeuta), sull'argomento:
"E c'è chi ancora paga i danni di tutti quei non piangere che ci hanno detto da bambini. Li paghiamo ancora in maschere di sorrisi".
Concediamoci queste maschere di deporle, in autonomia se ci riusciamo o con l'aiuto di un professionista se necessario. Siamo tutti esseri umani, ricchi di pregi e di difetti, impariamo ad accettare le nostre mille sfaccettature,  per raggiungere un miglior equilibrio e una maggiore serenità emotiva.



 

Dott.ssa Barbara Caprioli 
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